La revisione storica dell’evoluzione della chirurgia oftalmoplastica ci pone di fronte ad una documentazione relativamente abbondante, ma spesso caotica e scritta in un linguaggio talora retorico con molti termini di difficile comprensione. A questo si aggiunge la scarsità di immagini, almeno fino al Rinascimento. Già in epoca preistorica l’uomo aveva compreso che, in caso di ferite, il lavaggio, l’avvicinamento dei lembi e la compressione ne favorivano la guarigione. Tralasciando i tentativi di sutura con spine vegetali, si deve arrivare alla medicina militare romana per poter parlare di aghi muniti di cruna e di fili di sutura propriamente detti. La guerra è sempre stata, tristemente, un grande motore per il progresso. Le tecniche anestesiologiche sono passate dalla compressione delle carotidi usata dai Sumeri per indurre una temporanea perdita di coscienza, alla pietra di Menfi degli Egizi (composta da ciottoli grassi sbriciolati), al raffreddamento della parte interessata con acqua fredda o ghiaccio quando disponibile, fino all’associazione di estratto di piantina di mandragora con alcool e oppio, impiegata con maggiore successo dai chirurghi militari Romani, che praticavano interventi pesanti sui campi di battaglia. Nel Medioevo si usa la “spongia somnifera” composta da oppio, mandragora, giusquiamo e atropa belladonna. Bisognerà aspettare comunque il ‘700 per scoprire casualmente gli effetti anestetizzanti del protossido d’azoto (gas esilarate) e l‘800 per il cloroformio. Ricordiamo che fino al XVIII secolo rimarrà sempre valido l’aforisma di Ippocrate “Tutto ciò che non guarisce con il ferro, guarisce con il fuoco”. E ricordiamo anche che la chirurgia era considerata arte spregevole e proibita ai medici, pena la radiazione dalla corporazione in alcuni paesi, tra cui la Francia. Erano soprattutto i barbieri o cerusici a praticarla, per cui dobbiamo umilmente ammettere che la chirurgia deve molto ad alcuni di questi personaggi particolarmente appassionati, intelligenti e creativi.
L. Bauchiero, F. Monteu
ORBITA
Dai tempi delle pitture rupestri, gli occhi sono sempre stati motivo di interesse per tutte le civiltà. Già nell’arte delle culture Maya ed Egizie troviamo, ad esempio, raffigurazioni di personaggi con esoftalmi da distiroidismi.
La chirurgia dell’orbita, che è denominata da Galeno “Cora oftalmori” (uno dei molti termini di difficile etimologia ed interpretazione) rimane quasi inesistente ed affiancata da pratiche magiche per molto tempo. Sarà il barbiere Ambroise Parè, solo nel ‘500, ad eseguire i primi interventi e ad introdurre le prime protesi in vetro e resina colorate a mano. Sempre nel ‘500 un altro barbiere, George Bartisch, esegue con i suoi “cucchiai da exenteratio” i primi svuotamenti del bulbo e dell’orbita. Bartisch è anche autore di un importante trattato di chirurgia, pubblicato a proprie spese in tedesco perché, essendo un barbiere di limitata istruzione, non conosceva il latino, obbligatorio per qualsiasi opera scientifica.
Nel ‘600 si eseguono i primi lembi di trasposizione dalla regione temporale per cavità anoftalmiche.
ENTROPION E TRICHIASI
Il tracoma rimane per molto tempo una patologia molto diffusa e prima causa di entropion. Dal V secolo A.C. fino al periodo romano viene trattato mediante raschiamento con un bastoncino avvolto in lana milesia sul lato tarsale e poi con cauterizzazione delle ciglia.
Celso, nel II secolo, introduce una tecnica (ancora usata ai nostri giorni!) per correggere l’entropion, che verrà ereditata in seguito dagli Arabi, basata sull’asportazione di una striscia di tessuto a semiluna e sutura. Nel ‘300, Benvenuto Grafeo cura l’entropion usando cannule o aghi ischemizzanti stretti parallelamente al bordo e legati con capelli rigorosamente di donna. L'obbiettivo era quello di far cadere per necrosi la cute in eccesso.
ECTROPION
Per quanto riguarda l’ectropion, la sua correzione è sempre stata più difficoltosa in quanto si deve sollevare una struttura cadente. Nel II secolo, Celso lo tratta con una incisura semicircolare associata ad applicazione di grasso di gallina seguita da successiva cicatrizzazione spontanea.
Antillo (II sec) introduce per le forme involutive una plastica simile all’attuale tecnica a Y o a Z, mentre per quella cicatriziale asporta il tessuto retratto e copre l’area con fili di lino.
Nel ‘500 Bartisch utilizza la “tecnica dei nastrini” suturati alla palpebra inferiore, fissati in sede frontale e progressivamente sempre più tirati, nella vana speranza che la palpebra torni in sede corretta.
PLASTICHE PALPEBRALI
La prima descrizione delle palpebre viene fatta da Galeno (Ippocrate non le menziona neppure!).
Ricordiamo il “metodo indiano”, plastica effettuata per mascherare in parte l’orrore per amputazione della piramide nasale praticata come punizione a donne infedeli e malfattori minori o a causa di tumori (Branca ‘400, Tagliacozzi ‘500). Questa metodica corrisponde al nostro lembo medio-frontale.
PTOSI E DERMATOCALASI
Ptosi e dermatocalasi vengono confuse per lungo tempo per mancanza di conoscenze anatomiche.
Nel Rinascimento, Bartisch introduce la “tecnica della necrosi”: una speciale pinza simile ad un piccolo schiaccianoci viene usata per serrare la cute per 3 o 4 settimane, tempo necessario per causare la necrosi e la conseguente caduta della pelle in eccesso.
SIMBLEFARON
Hildano, nel ‘500, tratta il simblefaron (fusione delle palpebre con la superficie bulbare) mediante un filo con un peso in piombo che causa il taglio per gravità.
Per l’anchiblefaron (fusione dei bordi palpebrali) invece, Bartisch, sempre nel ‘500, effettua il taglio e poi utilizza una placca in piombo per impedirne la saldatura.
VIE LACRIMALI
Le vie lacrimali non sono bene identificate come anatomia e fisiologia fino al ‘700 avanzato. Ippocrate e Aristotele ipotizzano però un collegamento fra occhi e naso intuendo l’esistenza di quella che sarà chiamata valvola di Hasner, forse osservando il reflusso di aria a livello oculare nei casi di incontinenza della valvola.
Già nel papiro di Ebers, (1500 a.C) circa, si trova scritto che “gli orifizi del naso conducono alla cavità dell’occhio”. Nel ‘300 Benvenuto Grafeo ricorda: “Le lacrime fuoriescono dai puntini lacrimali e provengono dal cuore e dal cervello”. La confusione è totale. Eustachi, a inizio ‘700 descrive la caruncola come una specie di valvola che permette il deflusso da un terzo canalino che, come sappiamo, in alcuni casi anomali esiste. Nel Rinascimento si ipotizzano fori presenti nell’osso unguis che permettono il deflusso.
L’”egilope” (dacrioflemmone, dacriocistite cronica) e l’ ”anchilope” (mucocele del sacco lacrimale) vengono trattati da Galeno con impacchi e quindi incisione e cauterizzazione con ferro rovente e trapanazione. I risultati estetici e funzionali dovevano essere disastrosi ma almeno si risolveva l’infezione.
Gli Arabi del X secolo D.C. propongono la cauterizzazione associata all’inserimento di una dracma di piombo fuso. Se non funziona si effettua il drenaggio nel naso con un ferro a punta fino a che il paziente non sentirà l’aria “fuoruscire dall’occhio”. (Albucasi).
Pietro Ispano (Papa Giovanni XXI, collega oculista, ‘200) utilizza foglie di salvinca nella fistola associate a parole magiche e preghiere; questo permetterà alla fistola di scendere fino al piede (sic!).
Benvenuto Grafeo, nel ‘300 propone l’inserimento di un cece per 24 ore nel dacrioflemmone svuotato: il cece si rigonfierà riducendo l’infiammazione. (Metodo provato a fine ‘800 all’Università di Bologna, dal prof. Albertotti: pare che funzioni!).
Bisognerà aspettare Anel (fine’600-inizio’700) per vedere il primo vero sondaggio corretto delle vie lacrimali con un apposito specillo, previa misura con setola di cinghiale.
Infine Petit, nel ‘700 scriverà: “Ferro infuocato o non infuocato che faccia strada nuova o più breve la qual dal sacco forando l’osso e l’interna tonaca del naso, nella cavità di questo obliquamente all’ingiù provenga…lasciandovi dentro per sempre una piccola cannella di piombo o d’oro”. Era nata la progenitrice della DCR.
OTTOCENTO: INIZIO DELL’OFTALMOPLASTICA MODERNA
Nella prima metà del’800 vengono poste le basi della moderna chirurgia plastica palpebrale. Migliorano le tecniche anestesiologiche e vengono standardizzati e perfezionati innesti e lembi che sono tuttora utilizzati. Da allora le innovazioni sono state principalmente tecnologiche, con strumenti e materiali sempre più precisi e sicuri, mentre le tecniche chirurgiche sono sostanzialmente rimaste invariate, anche se perfezionate.
MEDICINA
Per curare i granulomi, Galeno nel I secolo D.C. utilizza osso di seppia insieme a latte di donna. Il latte di donna era largamente impiegato nelle pratiche mediche antiche, probabilmente perché ne erano state intuite le proprietà immunoprotettive.
Anche il tracoma viene curato per lungo tempo con il latte di donna, associato talora a miele ed albume. Altre tecniche includono involtini di pene di iena con sterco di capra, che vanno inghiottiti durante il novilunio. In alternativa si può ingerire cenere di teste di rondinotti accecati durante il plenilunio.
Per trattare gli orzaioli, nel Medioevo si utilizzano impacchi di mosche decapitate (considerare le abitudini alimentari delle mosche!), mentre per le ciglia in trichiasi, dopo l’asportazione, si applica sangue di rana.
Gli Arabi invece introducono l’uso di pomate a base di mercurio per curare la pediculosi (talora utilizzato ancora oggi in preparazione galenica).
Bartisch nel ‘500 utilizza la “terapia attrattiva” per curare l’oftalmia: un ago inserito e mantenuto nella cute del collo crea un’area di flogosi capace di attrarre la malattia dall’occhio (determinando una specie di linfoadenite iatrogena). Nel ‘600 il gonfiore agli occhi si medica con poltiglia di ragno e coda di gatto nero.
COME DOVREBBE ESSERE L'OCULISTA IDEALE. G.BARTISCH ('500)